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Brawn, IL ristorante di Londra che non troveresti mai

Per lavoro c’è stato un periodo in cui sono andato spesso a Londral, e ciò è bene perchè è una città incredibile sotto ogni punto di vista.
Non sono qui per scrivere l’ennesima guida turistica, ma per raccontare come sempre un’esperienza culinaria che vale la pena condividere, quindi dritti al sodo.

3 anni fa a Londra ho conosciuto Carlo [ma porcomondo non hai appena detto di andare al sodo? Chissenefrega di Carlo!]. Carlo di professione fa il distributore di vini [ah ok, scusa] , con particolare attenzione ai bio, biodinamici, naturali e via dicendo. Lavoro nato probabilmente da una passione per i buoni vini, sicuramente per il vino e la buona cucina.
Ah sì perchè Carlo da buon londinese è pugliese, tanto per cambiare.

Ora che ho descritto il blasone del mio Virgilio, andiamo al ristorante, il Brawn.
Si trova in Columbia Road, Hakney, parte est di Londra. Molto lontano dal centro e un po’ più vicino alla City e a Shoreditch. La via è famosa per il mercato dei fiori che si tiene tutte le domeniche, vale a pena di farci un giro perchè c’è una bella atmosfera. (www.columbiaroad.info). In più è una zona della città non frenetica, il tempo qui scorre lento, sospeso nella nebbiolina, silenzioso.

Il locale a me fa impazzire, tantissima luce che entra dalle grandi finestre, il bel bancone in zinco, il pavimento in legno grezzo, il mobilio tra il trovato e il meditato. Tutto è perfetto, il prossimo ristorante che aprirò, se mai capiterà, sarà così.

Il servizio è informale ma piuttosto attento, un paio di ragazzi gentili e precisi, tanti sorrisi come se ne vedono spesso fuori dal patrio confine. Nessuna pressione, ci si mette a proprio agio, volendo si apre il Mac e ci si mette a scrivere un post per il blog e nessuno verrà a stressarti. Una birretta della Camden Town Brewery a rinfrescare il palato. Piacevole.

La carta è ben fatta : tanti antipasti, una selezione di 6 main tra pasta (sì qui è un piatto principale), carne e pesce, una manciata di dolci. Perfetta per chi come me adora provare i locali indulgendo sugli antipasti e scegliendo un piatto principale evitando poi il dolce per raggiunto limite di capienza.

Radishes, chicory, goats curd & tahini. Un bel pinzimonio di stagione, la tahini con una bella acidità. Molto piacevole, si trova nella sezione del menu da condividere. Io sono solo, non condivido e ne sono felice.

Cantabrian anchovies, lemon, mint & chilly. Sempre nella categoria piatti da condividere, ma che nessuno osi chiedermi di farlo, potrei mordere. Questo piatto è pura poesia, le acciughe perfette e l’abbinamento a menta, fettina di limone e peperoncino (piccantino, non di più) è uno sballo per le papille, fuori di testa. E l’accoppiata con il pane!

Non ne ho ancora parlato, ma il pane. Il pane del Brawn. Il pane… fantastico, morbido e umido dentro e croccante fuori, il perfetto pane fatto con lievito madre, di quello che ne mangeresti delle tonnellate, come infatti faccio. Servito con del burro salato, meraviglioso. Se bissate si paga 3£, ma sono soldi ben spesi.

Grilled Galçots, ajo blanco, chopped egg & herbs. Questo è un antipasto di quelli da non condividere, e bene così perchè guai a toccarlo, ancora una volta!
Da Wikipedia: Il calçot è un tipo di scalogno o cipolla verde noto come calçot in lingua catalana.
Uno siulot lo chiameremmo in Piemonte, anche se non credo che la corrispondenza sia perfetta. Il piatto però perfetto lo è, eccome! Ogni ingrediente è amico degli altri, il calçot grigliato ad arte, l’uovo sodo, l’erba cipollina, l’aglietto, la salsa cremosa… da prendere un aereo solo per questo piatto.

Black pudding, radicchio, wild mushrooms & quince. Qui siamo nella tradizione locale, fatta con sapienza. Allo chef piace giocare con le verdure e lo fa bene. Il black pudding è piacevolmente grigliato, dolce e aromatico. Le verdure danno croccantezza e quel giusto contrasto amaro che il piatto richiede. Buono, molto buono.

Il dolce come da abitudine l’ho saltato, sarebbe comunque stato veramente troppo e non l’avrei apprezzato.

Lo chef e proprietario del Brawn si chiama Ed Wilson, immagino sia inglese e di sicuro non è né spagnolo né italiano. Ma la sua cucina è moderna, fresca, saporita, equilibrata come di solito solo le tradizioni spagnola e italiana sanno essere. Una grande fantasia, un ottimo palato e la giusta cultura per selezionare e abbinare la materia prima. Bravo!

 

Brawn
49 Columbia Rd
London E2 7RG
+44.2077295692
www.brawn.co

Prenotato su Opentable.

 

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Alessandro Mecca e il bue grasso

A cena con lo chef, da UnderLab

Ci sono delle aziende che nonostante abbiano un core-business ben definito e conosciuto sanno rinnovarsi continuamente, anticipando i tempi invece di subire gli eventi. No, non sto parlando di Google o Amazon, fortunatamente intelligenza e fantasia non dimorano solo in California.

Parlo della nostra creatura, molto più locale, molto più di nicchia e, vabbé, anche molto meno redditizia (per questo aspetto in California sono mooolto più intelligenti, lo ammetto): l’Accademia FoodLab.
Non è il momento di fare una noiosa digressione storica su ciò che si fa da FoodLab, ci tengo a che chi legge arrivi in fondo al post!, quindi vi racconterò l’ultima esperienza che FoodLab ha saputo regalarmi (e pensavo di averle viste tutte, a ormai più di quindici anni dacché l’ho creata!).

L’ultima creazione è l’UnderLab, il sotto-FoodLab, un luogo magico e cangiante; ambientazione industriale e caldo legno dell’arredamento; aula didattica e alcova dove chef e convitati dialogano, si incontrano, si conoscono.

Mercoledì 22 gennaio abbiamo avuto il piacere di avere come anfitrione Alessandro Mecca, un ragazzone (-oni lo siamo un po’ tutti in questo campo, ma soprattutto rimaniamo sempre ragazzi) dall’espressione immediatamente simpatica, lo sguardo intelligente e la mano magica. E intelligente lo deve essere sul serio se riesce a rendere economicamente sostenibile un ristorante gastronomico a Torino…

Alle 19.30 tutto è pronto, in cucina Alessandro aiutato da Giovanni (Naviglia, c’è bisogno di dirlo?), con la graditissima presenza di Luca Gandione della macelleria salumeria Silvio Brarda e l’assistenza dello chef pasticcere Andrea Monti. I vini sono stati selezionati e presentati da Luigi Fracchia, GluGlu Wine.

Avere il macellaio in cucina non è un vezzo, il tema della serata era il Bue Grasso (capito ora perchè siamo andati a Carrù da Luca?). E che bue grasso!

Per metterci di buon umore e avviare la macchina troviamo ad attenderci un non pomodorino, tonno all’interno e crema di peperone come pelle. Il ghiaccio è rotto, me ne sarei rimpinzato ignorantemente, a costo di rovinarmi la serata.

Seguono salame cotto tiepido (80% maiale e 20% bue, che incontro!), e salame crudo (bue e vino rosso, meraviglioso), accompagnati dalla focaccia homemade.

Si parla, si ascolta, si beve un ottimo Vjole Metodo Classico, Brut Rosé, Tenuta dei Fiori. Si parla un po’ più forte, si ascolta avidamente.

Plana davanti a noi la scaloppina, sotto nasconde dell’insalata verde di stagione, quindi amarognola, sopra un sugo di bue, fatto in diretta dallo chef, che raddrizzerebbe la peggiore giornata.

Si parla, si ascolta, si passa al rosso, un vino austriaco (??? veramente ne fanno??? Ebbene sì) fatto da un signore, Cristoph Bauer, che deve essere un malato di mente a giudicare dall’etichetta. E fa innegabilmente un vino particolare, l’avrei detto un lambrusco fermo, per capirsi.
Questo azzardo è stato fatto per accompagnare un piatto favoloso, trippa di bue scampi e fagioli. Dolce grasso rotondo avvolgente il piatto, affilato come una katana (il modello austriaco) il vino. Bella esperienza.

Siamo in famiglia, si parla e si ascolta (ma che bello è? di solito al ristorante si parla solo, qui si ascolta lo chef, gli si guardano le mani sul grande schermo in alto, si ammira il gesto).

Viene presentato il bollito di scaramella, un pezzo di rimarchevoli dimensioni, che Alessandro ci spiega essere stato immerso, non legato e già a temperatura ambiente, nel brodo già caldo. Tempo e amore e la carne ormai cotta viene protetta da un panno pulito.
Il brodo viene invece filtrato con un filtro per caffé all’americana, diventando limpido e delizioso. Lo berremo dopo il bollito.

Giardiniera, bagnet verde, bollito con sale grosso e la magia è fatta. Sapore sapore sapore e ancora sapore.
Ad accompagnare del Cenerina, Cascina Val Liberata.

Tutto fila sempre più liscio. Si parla, si ascolta e si mastica.

Il dialogo con lo chef è ormai continuo, è un fiume in piena di suggerimenti, tips, aneddoti; ci sentiamo tutti con lui dietro al banco della cucina, pensiamo di essere giunti alla fine finché non vediamo un pezzo ciclopico di tenerone apparire sul tagliere per essere cucinato “come sul BBQ“, sulla griglia in ghisa del Rational (conservo una registrazione dello chef che esclama ammirato “cazzo che forno!” mentre scaloppa la carne cotta alla perfezione in un amen).
Succosa, rossa, caramellizzata in superficie, gustosa gustosa gustosa.
In accompagnamento del Nebbiolo 2017, Rivetto, molto buono.

Come a un concerto ben riuscito c’è anche della sana improvvisazione. Il pezzo di tenerone era di tali dimensioni che piuttosto che avanzarne Alessandro ha ben pensato di mettere la carne, la stessa cotta poco prima e già tagliata, in forno irrorata di bacche di ginepro. Olio evo e per noi prolungamento del piacere, nuovo giro e nuovi sapori. Grazie maestro!

Ormai si parla e si ascolta tutti, ma proprio tutti; domande, aneddoti, esperienze, siamo appagati nel corpo e nello spirito.

Finiamo in bellezza con un incredibile cioccolato, pere e zafferano, una sfera di goduria dalle mani sapienti di Andrea Monti, che ci ha sorpresi con un equilibrio della dolcezza raro da trovare: dolce quanto basta, non di più. Abbinamento: Pensiero, metodo classico, moscato di Canelli.

Applauso sentito, grazie a te  grazie a voi, strette di mano pacche sulle spalle la leggerezza del sollievo per una bella serata andata molto bene, tanti sorrisi.
Giù le luci, si prepara la prossima.

 

Chef Alessando Mecca
Ristorante Spazio 7
Torino

UnderLab
Chef Giovanni Naviglia

Ospiti
Luca Gandione, Macelleria Salumeria Silvio Brarda
Andrea Monti, chef pasticcere
Luigi Fracchia, GluGlu Wine

 

Piatti e Chef

Vini

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Adrian Quetglas

Metti un giorno di inizio estate, ti trovi a Palma de Maiorca che non conosci minimamente e da cui non sai cosa aspettarti. La giornata la passi in giro, visiti la splendida città vecchia, i suoi bei negozi, i palazzi storici, respiri una bella atmosfera. Cerchi di non vedere quanti turisti ci sono, ma tant’è che ti aspetti, mica sei venuto il 10 di novembre in fondo.

E cominci a pensare alla sera (intesa come la cena, i tempi delle notti folli sono lontani), è quella la tua vera meta, il motivo per cui viaggi. E non ne hai molte da goderti, solo un paio. Non vuoi giocarti male le tue carte, giammai, Dio ci scampi!
Qui ovviamente ognuno avrà la propria strategia. Il più fortunato ha un amico dal palato buono che abita a Palma, beato lui. Io no, ma come sempre so di avere il mio amico gourmand in tasca, o meglio nel web ormai.

Ecco quindi che apro la versione virtuale della Rossa e mi metto alla caccia.

La prima cosa che si noterà, e che lascerà piuttosto stupiti, è la quantità di stellati che ci sono su quest’isola, seppure non sia certo piccola. La sola Palma conta un bistellato e 3 stellati.
L’isola intera arriva a un bistellato e 6 stellati, impresa non da poco.

Comunque abbastanza di che tenermi occupato per un’oretta tra lettura della guida, analisi dei siti internet di tutti i ristoranti a portata di taxi, dei menu, delle foto su Google. Un lavoraccio che culmina con la telefonata per prenotare e le dita incrociate.

A questo giro mi considero veramente fortunato, lo dico tranquillamente (in fondo ho detto fortunato, non bravo, non mi sto lodando da solo).
Lo chef Quetglas è un signore evidentemente illuminato da una visione. Ha le idee chiare in cucina con sapiente uso di ricette e ingredienti locali di ottima qualità.
Il señor Adrian Quetglas deve essere anche un discreto manager perchè il ristorante è bello e moderno e pieno, e il suo progetto è arricchito da una piccola enoteca/taperia a fianco, indipendente dal ristorante e molto interessante (sono stato anche lì non temete, un post descriverà brevemente anche questa esperienza.
E’ anche uno chef fortunato perchè il suo campo di battaglia è una delle isole più frequentate del Mediterraneo, con un aeroporto che in estate ho scoperto diventare il terzo più frequentato di Spagna. Provare per credere.

La foto del menù la trovate nella gallery. E’ il menù che ho avuto modo di degustare, un bel percorso che consiglio a tutti gli appassionati. Consiglio anche l’abbinamento di vini locali proposto, molto interessante.

Il mio avvbiso è quello di cercare di avere una giornata attiva prima della cena perchè questo ristorante, benchè stellato, non è uno di quelli che vi lasciano con la fame alla fine. Tutt’altro, ne uscirete decisamente sazi e contenti, e neanche troppo sobri perchè neanche con la mescita del vino fanno i tirchi.

Il prezzo nella categoria da sogno, è raro godere di una cena di tale livello per 55€.

Una gran bella esperienza, decisamente consigliata. Speriamo che non cambi altro che il menu periodicamente!

Nota sulle immagini che seguono: ovviamente ho fatto le foto di tutti i piatti, ma il locale la sera è piuttosto scuro e il flash non ho il coraggio di usarlo. Il risultato, ovviamente, delle foto talmente oscene che mi vergogno anche solo ad averle sull’Iphone. Mi perdonerete quindi se le foto inserite in gallery sono prese dall’account Instagram del ristorante e da Google: le inserisco per comodità di chi legge, garantendovi che corrispondono alla realtà di quanto ho visto.

Adrian Quetglas
Passeig de Mallorca, 20,
07012 Palma, Illes Balears, España
+34 971 781 119
http://adrianquetglas.es/

 

 

Il menù

La sala

Foto di piatti

Fonte: profilo instagram del ristorante

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Andreu Genestra, Maiorca

Maiorca, Spagna, una bella serata di inizio agosto. Siamo alla scoperta dell’entroterra dell’isola che, come spesso mi capita, lascia ricordi migliori della costa e della sua umanità malamente esposta (fatti salvi rari e meritevoli casi, intendiamoci).

Il posto è piuttosto sperduto, ci si arriva in auto o, se siete arrivati con un panfilo di 140 metri (cosa che a quanto pare qui è piuttosto popolare…), in elicottero.

Il ristorante è segnalato dalla Michelin con una stella, ragione per cui ho prenotato con tale anticipo da stupire il più smaliziato dei ristoratori. E bene feci, il ristorante era al completo come facilmente prevedibile.
La prima impressione, arrivati, è che l’atmosfera e il luogo siano piuttosto ricercati, e come si vedrà la cucina confermerà questa impressione. Camerieri gentili e sorridenti ci mancherebbe, il maître un po’ sopratono tende a darsi un po’ troppa importanza (diamine, alla fine mica lo pagherà lui il conto!).

Tre scelte di menu, 6/9/11 portate, purtroppo tutto il tavolo deve fare la stessa scelta. Eterno problema per me che prenderei sempre il menu “ultima cena” mentre mia moglie esattamente il contrario, per non parlare della presenza dei figli e dell’assenza di un menu bimbi.

A tal proposito si rende necessaria una digressione che racconta una possibile tragedia finita in poesia. Se come me avete un figlio italiota che DEVE mangiare la pasta e Dio lo fulmini se apprezza la sperimentazione e una figlia per cui la scoperta culinaria è una ragion di vita, Andreu Genestra vi viene incontro in modo trasversale e involontario. Al ristorante principale infatti, come anticipato poco sopra, non è previsto che le coppie si riproducano e, orrore!, portino la prole preadolescenziale al ristorante. Però c’è a pochi metri un secondo ristorante, il bistrot, che serve piatti più tradizionali (e anche la pasta che non staremo a dibattere di quanto sia tradizionale a Maiorca, a me basta che ci sia sempre per placare il mangiatore seriale di carboidrati!), da quanto mi dice mia moglie.

Eh sì, perché la soluzione per noi è stata dividersi, io e figlioletta sperimentale allo stellato, moglie e figlio pastaiolo al bistrot.
Dalla quasi posa della pietra angolare del divorzio alla poesia della prima cena tête-à-tête con mia figlia. Fine della digressione.

Si opta per un salomonico nove portate, scelto con entusiasmo dalla bimba di 11 anni. Evvai!

Come mia abitudine niente descrizione di tutti i piatti, lascio alle foto e alle didascalie la parte dell’almanacco e alla fantasia di chi guarda il resto: sarà l’occhio a farvi decidere se un giorno passare di qua, non il fatto che io vi dica “questo era buono”.

Nel complesso la qualità è alta, si capisce che c’è una abnorme propensione alla ricerca, i sapori molto netti. Però l’impressione è che si voglia stupire un po’ troppo e non sempre puntando alle papille ma piuttosto agli occhi. Estremizzazione fine a se stessa insomma, piatti molto belli ma raramente memorabili, porzioni spesso monoboccone che, ben lungi dal non saziare dato il numero di portate, non ti lasciano però l’occasione di fare un secondo assaggio.

La cena con le nove portate dura un po’ più di due ore. A me le cene lunghe piacciono, la suspence per la scoperta della prossima portata, il tempo di bere più vino di quanto non dovrei: piaceri che non bisognerebbe mai negarsi.

Questo blog non è fatto per promuovere o bocciare ristoranti, per quello ci sono i soloni su trip; questo è un diario di viaggio e magari una piacevole lettura che porta ispirazione.
Quello che do di Andreu Genestra non è quindi un giudizio negativo, però con tutto quello che Maiorca offre probabilmente la prossima volta mi guarderò nuovamente in giro nella fase preparatoria e cercherò nuove esperienze.

 

Andreu Genestra
https://andreugenestra.com/

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Abbaye de Fontevraud

Luglio, fuori il caldo di un’estate che matura e si manifesta, in auto il fresco dell’aria condizionata e lo scorrere mai monotono del paesaggio. Una fuga solitaria, con una meta a lungo accarezzata con google.

Come sempre quando si tratta di selezionare alberghi e ristoranti la ricerca è maniacale, al limite del fanatismo. Bookings per trovare l’albergo perfetto, la Michelin (nonostante l’osceno sito Viamichelin, ma Dio li benedica per rendere tutto disponibile gratuitamente) per i ristoranti, Google per approfondire e valutare. Giorni e giorni di ricerca.

I dati incrociati, ristoranti stellati con camere e hotel con ristoranti stellati, Bookings Michelin, Michelin Bookings; e alla fine la carta di credito fa il suo mestiere, il patto è suggellato, non si cambia più idea.

Destinazione la Francia, Valle della Loira, più di seicento chilometri per guadagnarsi la vittoria.

La destinazione è la Abbazia di Fontevraud, nell’omonimo paesino che si rivela un incantevole borgo la cui via principale, che porta all’abbazia, ha qualcosa di magico: le case basse e antiche in pietra calcarea, i fiori alle finestre, le poche auto a rovinare l’atmosfera, tutto porta indietro nel tempo, ad un periodo ben più poetico (beh se si trascurano i pericoli tipici dell’alto medioevo, ovviamente).

L’abbazia è un complesso imponente e perfettamente conservato, che evidentemente lo Stato francese ha riportato allo splendore senza lesinare sulle risorse: tutto è perfetto, bello, impeccabile, senza sbavature.

Non mi dilungherò oltre sul complesso abbaziale, le foto qui sotto e Google sapranno soddisfare ogni curiosità. Quello che interessa in questo articolo è la parte ricettiva e il ristorante.

L’hotel (denominato Fontevraud l’Hotel) è all’interno del complesso e occupa quello che immagino fossero gli alloggi di chi nell’abbazia ha vissuto nei secoli (a partire da Napoleone è stato pure un carcere, vabbé). Ben ristrutturato, con mobili e dettagli d’autore, la maggior parte disegnati e realizzati su misura. Bello, bello, bello. Da notare che l’hotel è all’interno del complesso, quindi quando i cancelli si chiudono al mondo esterno, ed i visitatori giornalieri escono, rimangono solo gli ospiti dell’hotel, con la possibilità di visitare tutti questi magici luoghi in perfetta solitudine. Meraviglioso, da fare! E dopo una bottiglia di buon vino la magia diventa assolutamente mistica.

Le camere (al plurale, ho soggiornato 2 volte nel giro di 10 giorni) sono belle e curate. Il mio suggerimento è di restare nel corpo principale dell’hotel e non nelle “camere con giardino”. Può sembrare un avviso strano, ma alla fine lo spazio non cambia di molto e poichè le camere giardino danno effettivamente sul giardino con la grande posta finestra, la privacy ne risente non poco. Ho particolarmente amato la camera che avevo al secondo piano, spaziosa quanto basta, molto ben arredata, un letto comodo da morirci dentro e bagno di ottimo livello. L’hotel è un 4 stelle di alto livello, niente da eccepire.

Il ristorante è a 20 metri, stesso complesso, parzialmente dentro a una chiesetta e la parte principale nel chiostro; uno spettacolo, atmosfera a carrettate, un capolavoro. Qui sotto qualche foto che vale le mille parole che nessuno avrebbe voglia di leggere.

Si tratta di un ristorante “gourmand”, con una cucina ricercata con materia prima locale e di eccellente qualità che è stato, a mio avviso giustamente, premiato con una stella (il macaron, ad essere pistini) dalla Guida Michelin.

La carta… non esiste, di fatto. Lo chef ha deciso di optare per un solo menu a cui sarà necessario adeguarsi. Eccezioni sono evidentemente concesse in caso di intolleranze e allergie.
Questa scelta potrà sembrare estrema (ma anche fastidiosa, ingiustificata, sciocca, idiota, “e che cazzo con quel che pago neanche posso scegliere cosa mangiare”) ad alcuni, ma andrà benissimo a chi come me adora i menu alla cieca.
Il prezzo del menu è 70€, una cifra decisamente onesta per la qualità dei prodotti, la grande capacità della cucina e la location incredibile, e questo ritengo sia possibile solo in virtù della scelta del menu obbligatorio. Il prezzo del vino sarà extra.
Ovvio che il mio suggerimento è che se chi legge appartiene alla categoria urtata dal menu non modificabile sarà meglio si astenga dal provare questo ristorante.

Non mi lancerò in una infinita descrizione di ogni singolo piatto, preferisco proporre delle foto con una didascalia per indicare il nome del piatto. In generale sappiate che ho trovato i piatti tutti interessanti, con alcune eccellenze assolute. A mia discolpa e per giustificare il fatto di non dare un voto a ogni piatto si tenga presente che (1) odio cenare con un taccuino di fianco al piatto e (2) ero da solo e ho sommamente apprezzato la bottiglia di vino che la sommelier mi ha aiutato a scegliere (il che non aiuta la memoria a medio periodo, sono ormai passati quasi 2 mesi dalla visita).

Per concludere alcune note generali in ordine sparso.
Il servizio molto buono e attento, un buon compromesso tra informale e raffinato, comunque sempre impeccabile (bravi i francesi, come quasi sempre).
La carta dei vini ampia e con buona profondità dei prezzi. Molte proposte locali. Ho bevuto (in due serate distinte, sia ben chiaro): Chateau Yvonne – Saumur Champigny 2016 e La Folie Lucé – Autrement 2014. Entrambi ottimi. Ricarichi alla francese (ahimé, ma prima o poi cambieranno…)
Il pane spettacolare, prodotto in casa (non che questa sia sempre una virtù).
Il menù prevedeva in opzione un piatto extra per un sovrapprezzo di 20€; durante le mie visite si trattava di “Champinions de Paris à Fontevraud”, arricchito sia dal tartufo che dal fois gras. Il mio consiglio? Prendere assolutamente. E’ anche utile sapere che nelle vicinanze ci sono delle rinomate grotte dove vengono coltivati gli champignons, che infatti sono spettacolari.

Olè, fine della lenzuolata, ora godetevi le fotografie e se ritenete lasciate un commento alla fine.
Alla prossima!

Fontevraud l’Abbaye
http://www.fontevraud.fr/

Fontevraud l’Hotel
http://www.fontevraud.fr/Dormir-a-Fontevraud/L-hotel

Fontevraud le restaurant
http://www.fontevraud.fr/Manger-a-Fontevraud/Le-Restaurant

 

Per cominciare, i luoghi

…e poi i piatti e il ristorante

le foto si riferiscono a due cene distinte, non pensiate male della mia propensione a procurarmi un’indigestione. Appena trovo il menu della seconda visita aggiornerò le didascalie mancanti (mea culpa sono disordinato, l’update potrebbe non avvenire mai…)