Maiorca, Spagna, una bella serata di inizio agosto. Siamo alla scoperta dell’entroterra dell’isola che, come spesso mi capita, lascia ricordi migliori della costa e della sua umanità malamente esposta (fatti salvi rari e meritevoli casi, intendiamoci).
Il posto è piuttosto sperduto, ci si arriva in auto o, se siete arrivati con un panfilo di 140 metri (cosa che a quanto pare qui è piuttosto popolare…), in elicottero.
Il ristorante è segnalato dalla Michelin con una stella, ragione per cui ho prenotato con tale anticipo da stupire il più smaliziato dei ristoratori. E bene feci, il ristorante era al completo come facilmente prevedibile. La prima impressione, arrivati, è che l’atmosfera e il luogo siano piuttosto ricercati, e come si vedrà la cucina confermerà questa impressione. Camerieri gentili e sorridenti ci mancherebbe, il maître un po’ sopratono tende a darsi un po’ troppa importanza (diamine, alla fine mica lo pagherà lui il conto!).
Tre scelte di menu, 6/9/11 portate, purtroppo tutto il tavolo deve fare la stessa scelta. Eterno problema per me che prenderei sempre il menu “ultima cena” mentre mia moglie esattamente il contrario, per non parlare della presenza dei figli e dell’assenza di un menu bimbi.
A tal proposito si rende necessaria una digressione che racconta una possibile tragedia finita in poesia. Se come me avete un figlio italiota che DEVE mangiare la pasta e Dio lo fulmini se apprezza la sperimentazione e una figlia per cui la scoperta culinaria è una ragion di vita, Andreu Genestra vi viene incontro in modo trasversale e involontario. Al ristorante principale infatti, come anticipato poco sopra, non è previsto che le coppie si riproducano e, orrore!, portino la prole preadolescenziale al ristorante. Però c’è a pochi metri un secondo ristorante, il bistrot, che serve piatti più tradizionali (e anche la pasta che non staremo a dibattere di quanto sia tradizionale a Maiorca, a me basta che ci sia sempre per placare il mangiatore seriale di carboidrati!), da quanto mi dice mia moglie.
Eh sì, perché la soluzione per noi è stata dividersi, io e figlioletta sperimentale allo stellato, moglie e figlio pastaiolo al bistrot.
Dalla quasi posa della pietra angolare del divorzio alla poesia della prima cena tête-à-tête con mia figlia. Fine della digressione.
Si opta per un salomonico nove portate, scelto con entusiasmo dalla bimba di 11 anni. Evvai!
Come mia abitudine niente descrizione di tutti i piatti, lascio alle foto e alle didascalie la parte dell’almanacco e alla fantasia di chi guarda il resto: sarà l’occhio a farvi decidere se un giorno passare di qua, non il fatto che io vi dica “questo era buono”.
Nel complesso la qualità è alta, si capisce che c’è una abnorme propensione alla ricerca, i sapori molto netti. Però l’impressione è che si voglia stupire un po’ troppo e non sempre puntando alle papille ma piuttosto agli occhi. Estremizzazione fine a se stessa insomma, piatti molto belli ma raramente memorabili, porzioni spesso monoboccone che, ben lungi dal non saziare dato il numero di portate, non ti lasciano però l’occasione di fare un secondo assaggio.
La cena con le nove portate dura un po’ più di due ore. A me le cene lunghe piacciono, la suspence per la scoperta della prossima portata, il tempo di bere più vino di quanto non dovrei: piaceri che non bisognerebbe mai negarsi.
Questo blog non è fatto per promuovere o bocciare ristoranti, per quello ci sono i soloni su trip; questo è un diario di viaggio e magari una piacevole lettura che porta ispirazione.
Quello che do di Andreu Genestra non è quindi un giudizio negativo, però con tutto quello che Maiorca offre probabilmente la prossima volta mi guarderò nuovamente in giro nella fase preparatoria e cercherò nuove esperienze.
Andreu Genestra
https://andreugenestra.com/
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